Sull’erba del campo in fiore
all’ombrìa delle folte fronde
di un verde salice piangente,
che stendeva i rami per baciare
la corolla dei papaveri
e degli ammalianti narcisi,
ho perso l’essere mio vigile.
Abbracciato alla mia Musa
godevamo l’essenza della vita,
la testa sul suo procace seno
rideva Lei solare come sempre.
Più in là all’ombrìa di un’alta rupe
fra rovi e ginestre in fiore
il passero solitario ammaliava,
ode al canto che al sol sempre verna.
Là, oltre sul finire della collina
un gregge all’ombrìa
di una secolare elce
si godeva la frescura:
mentre il giovane pastore
appoggiato al robusto tronco
pensava la bella donzella,
che l’aspettava al calar del sole
alla capanna a lato dell’ovile.
Il sole calò e l’ombrìa svanì
dal lieto sogno mi destai
in mano tenevo due fiori:
I fiori della bellezza e dell’inganno
che mi stordirono facendomi rivivere
il più bel sogno della mia solitudine.
24 maggio 2022
©Vincenzo Lagrotteria PremioParoleNuove2022
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